Fine dello smart working? Davvero è finita l’era del lavoro “agile”? Il lavoro in presenza sarà davvero “l’anima della ripartenza”, come ha dichiarato di recente il ministro della Pubblica amministrazione?
In verità un buon numero di imprese sta sperimentando lo “smart working” per i propri dipendenti, cambiando le routine di milioni di persone in tutta Italia.
Dunque, chi ha ragione? Chi vede l’essenza del lavoro nel cartellino da timbrare in ufficio o chi sperimenta il nuovo modello con i suoi benefici (e ovviamente con i suoi limiti)?
Cos’è (davvero) lo smart working?
A monte c’è molta confusione su cosa sia ciò che chiamiamo “smart working”. Si continua a scambiare questo modello con il semplice lavoro in remoto, introdotto in piena emergenza durante la pandemia.
La legge 81 del 22 maggio 2017 (qui il testo completo) dà una definizione esauriente di cosa si intensa per “lavoro agile”:
- un rapporto di lavoro subordinato;
- un’organizzazione del lavoro per fasi, cicli e obiettivi;
- l’assenza di precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro (entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale);
- il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa;
- lo svolgimento del lavoro in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa.
Non parliamo, quindi, di semplice “lavorare da casa”, ma di organizzare in modo nuovo il proprio lavoro. Ad esempio, misurando la produttività non sul numero di ore svolte, ma sugli obiettivi e i risultati effettivi. Di poter gestire in modo più efficiente il proprio tempo, bilanciando meglio il lavoro e la vita privata.
Chi sta sperimentando lo smart working
Sono oltre cinque milioni i lavoratori italiani che già in questo periodo si stima potranno sperimentare le nuove modalità di lavoro “agile”, lavorando metà della settimana da casa.
Sono inevitabilmente impiegati nel settore privato. La spinta del pubblico verso il ritorno al lavoro in presenza, invece, probabilmente è il sintomo della lentezza dei processi di digitalizzazione e riorganizzazione della pubblica amministrazione.
Il gruppo assicurativo Generali, per citare un esempio, prevede due o tre giorni di lavoro da casa, con la possibilità per i dipendenti di accedere a spazi di coworking o connettersi dall’estero. Il tutto gestito da un’apposita piattaforma. Per quanto riguarda gli orari, dalle 18 stop a riunioni, telefonate ed e-mail.
Perché il “lavoro agile” piace
Un report realizzato da Adapt per la Fim-Cisl racconta l’esperienza dello smart working in un campione di lavoratori. Il 58% vorrebbe lavorare dividendosi tra casa e ufficio, mentre il 28% preferirebbe il lavoro da casa a tempo pieno.
Emergono anche luci e ombre del lavoro agile, con il 45% degli intervistati soddisfatto e il 35% scontento dell’esperienza vissuta. Tra i lati negativi, le troppe ore di lavoro (59%) e la mancanza di informazioni sul diritto a disconnettersi (61%) e su salute e sicurezza (38%). Sono i segnali che quello che viene chiamato “smart working” è in realtà il semplice lavoro da remoto, organizzato in emergenza.
Emergono, però, anche alcuni svantaggi strutturali di questo modello: ad esempio la solitudine (10%) e la mancanza di interazioni con i colleghi (25%).
Ci sono ovviamente diversi vantaggi per chi ha sperimentato queste nuove modalità di lavoro: più concentrazione (21%), un’attività più piacevole (17%) e più tempo dedicato alla famiglia (14%).
Perché il lavoro agile funzioni, però, occorre che l’azienda si organizzi: ad esempio, uno dei fattori di soddisfazione da parte dei lavoratori intervistati è stata la dotazione di strumenti aziendali (86%), mentre la mancanza di formazione (65%) è uno dei primi elementi di insoddisfazione.
Il coworking per il lavoro agile
Insomma, non solo è presto per annunciare la “fine” dello smart working. Ma anzi, sembra proprio il momento in cui molte aziende sono più propense a sperimentarlo. Anche perché offre vantaggi anche all’impresa, ad esempio in termini di riduzione degli spazi. Con il ricorso al lavoro agile, ad esempio, Intesa San Paolo sta valutando la possibilità di ridurre le filiali.
Una soluzione per conciliare un progetto di smart working con il bisogno di sedi adeguate, connessioni internet veloci e relazioni con altre persone? Il lavoro in uno spazio di coworking.
Nel coworking di Zico, ad esempio, operano da anni dipendenti in smart working: già prima dell’esplosione della pandemia, infatti, diverse imprese hanno offerto la possibilità di avvicinarsi da casa e ridurre tempi e costi di trasferta, almeno per alcuni giorni a settimana.